mercoledì 14 settembre 2016

Un timer a mia insaputa

Io, a differenza di quel signore a cui avevano intestato una casa con vista Colosseo a sua insaputa, mi accontento di qualcosa di più banale.
A mia insaputa qualcuno mi ha inserito (sottopelle? nel sangue? tra i muscoli delle braccia?), credo durante l'ultima settimana d'agosto, un timer che mi costringe - almeno fino a quando lo trovo e lo estirpo - a svegliarmi tutte le notti, indipendentemente dall'ora in cui prendo sonno, tra le 3 e le 3,30.
Il timer è molto preciso ed estremamente efficiente. Quando va bene riesco a riprendere sonno intorno alle sei, a volte non ci riesco proprio.

Molte delle 'sveglie' notturne avvengono con regolarità terrificante alle 3,29, così dice il mio orologio sul comodino che, come tutte le sveglie, è consultabile al buio grazie a una lucetta interna.
Molte anche alle 3,12. Le altre in quell'arco di mezz'ora che citavo prima.
Mi sveglio in un mare di sudore - il caldo di questo settembre di certo non aiuta - con una sensazione di angoscia e di abbandono che mai ho vissuto prima.
Mi rotolo nel letto con la consapevolezza che ormai il mondo mi stia strapazzando, in cui terribili entità esterne (forse aliene o qualche dio bizzoso) stiano chiedendomi il conto di tutto quello che ho fatto, di tutti i miei errori, di tutte le mie colpe.
Sono momenti terribili, in cui ho la certezza piena e assoluta che non vedrò l'alba e che comunque nulla potrà avere una soluzione.
Alla fine, per ogni volta, prendo la decisione di alzarmi, raggiungere sempre più pesantemente il divano, cercare di leggere o scrivere, comunque di tenere in piedi una funzione cerebrale positiva e attiva.
Ma ormai, ogni notte, la cosa diventa sempre più complicata e l'angoscia si impadronisce anche con una luce accesa o con buona musica nelle orecchie. Fisicamente mi manca il fiato, lo stomaco viene assalito da terribili fitte e la testa tenta di scoppiare. Ma la cosa più terribile, più ingestibile, più sconvolgente è la sensazione di solitudine assoluta, mai provata prima. Non è bello, porca vacca!

L'aspetto positivo è che riesco a parlarne almeno con me stesso, o comunque a scriverne, aiutandomi a ricostruire il rispetto verso di me e dando segnali di reazione. E con un a buona dose di saracasmo, elemento fondamentale nella mia esistenza e non da tutti apprezzato.
Perché l'importante è appunto saper reagire, di fronte a tutto e a tutti. Sempre.
E riprendere, il prima possibile, a spaccare le montagne a mani nude, come ho sempre fatto, facendo attenzione a non lasciare feriti sul campo.
Stanotte, a un certo punto, disperato, ho fatto una impensabile ricerca su Google con la parola 'notte', non so perché e con quale obiettivo. E tra il tanto ciarpame che ho fatto scorrere sotto il mouse mi sono imbattuto in questa meravigliosa canzone, di cui ancora conservo il 45giri con la copertina pasticciata da mio fratello, noto grafomane negli anni '60.
Ascoltatela, perché è straordinaria e straziante. E anche se è una canzone 'solo' d'amore (come il 99% delle canzoni dell'epoca - siamo nel 1965) racconta tutta l'angoscia di notti dedicate alla ricerca di un po' di serenità.

Vediamo cosa succede, diceva quello là, a questo punto sono molto curioso.
Se mi ricoverano in una clinica per turbe psichiche spero di riuscire a ottenere un computer per poter tenere aggiornati i migliaia di fan che seguono questo cesso di blog.
In caso contrario il caro oblio calerà sulla rete e chi si è visto si è visto.


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