domenica 9 ottobre 2016

If I were a carpenter

Chissà se c'è qualcuno al mondo ancora si ricorda di Tim Hardin a Woodstock...tra l'altro credo che sia morto, povero.

Io sono totalmente imbranato nel cosiddetto fai da te.
Ma nonostante alcuni dicano che io non mi conosco affatto, so benissimo quali sono i miei limiti e fino a che punto posso arrivare.

Ho problemi con una porta. 
Una porta fondamentale nelle dinamiche quotidiane. Di passaggio. Una porta bloccata.
Non riesco a chiuderla, è dura, è inchiodata a una ventina di centimetri dalla chiusura totale. È un po' paradossale, perché in fondo è quasi chiusa ma manca solo quell'ultimo pezzo.
Provo a svitare i cardini, provo a grattare sotto, a spingere sempre più violentemente con la spalla, procurandomi solo un dolore insopportabile. Niente da fare.
Non è niente in confronto alla sofferenza, fisica, di sapere quella dannata porta bloccata, impossibile a chiudere.
Allora mi rassegno. Faccio finta di non accorgermene, mi dico che è un problema con cui convivrò il resto dei miei giorni, che non ci sono soluzioni. Sto cedendo...
Dentro di me rido, di me stesso, della mia forza svanita, delle mie debolezze.
Io mi conosco benissimo, sono gli altri che non sanno chi sono, che fuggono davanti a me per la paura di essere messi in discussione. Più comodo avere intorno chi ti blandisce, non ti contraddice mai, non ti accarezza contro pelo.
Pazienza, c'è posto per tutti a 'sto mondo.
Io devo risolvere il problema della porta e ormai, determinato, nessuno mi può più fermare.

Lascio passare qualche giorno. Alla fine di settimana scorsa, finalmente, forse capisco come fare.
Prendo un po' di olio lubrificante, allento qualche vite, tanta forza di volontà e comincio a spingere.
Sembra si muova, ma non troppo.
Sembra cedere, ma non troppo.
Ma a un certo punto, poco prima che l'ennesimo infarto mi stronchi lì sul pavimento, sento alle spalle dei passi, sempre più vicini. Due mani, lunghe e delicate, improvvisamente compaiono poco sotto le mie e cominciano, con determinazione, a spingere.
E la porta, piano piano, lentamente ma ormai inesorabilmente, comincia a muoversi, cigolando un po', ma si muove, caspita se si muove.
Fisso gli occhi di chi mi aiuta. Forti, profondi, splendidi. Mi sorride.
"Forza", mi ritrovo a sussurrare, per aiutare l'azione.
Mi guardo in giro. Non vedo nessun altro.
Sorrido e penso che ormai manca, poco, pochissimo, e la porta finalmente sarà chiusa.
A un certo punto, in modo totalmente inaspettato, come se avesse superato una sorta di blocco, la porta prende a scorrere veloce, senza impedimenti. Appena ce ne accorgiamo molliamo la presa e la accompagniamo dolcemente fino a fine corsa.
Clic, si sente.
La porta è chiusa, finalmente. 
Tutto risolto, improvvisamente, in una mattinata, proprio quando disperavo di farcela.
- Ci voleva tanto?, mi ritrovo a pensare. 

Vorrei festeggiare, vorrei portare fuori a cena chi mi ha aiutato, comprarle un dimante da 200 carati, per ringraziarla.
Mi volto, non vedo più nessuno. 
Ma me la sono sognata?
Un foglietto sul tavolo con un numero di telefono e una parola sola: 'chiamami'.
E ho chiamato, e dopo nulla è stato più come prima.
Anche se è autunno, sta arrivando la primavera.



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